Che sul Web, e sui social in particolare, vi sia una enorme quantità di disagio credo che ormai sia chiaro a tutti, quello che è meno chiaro è: quali sono i luoghi digitali più disagiati?
Lo so, qualcuno sta già pensando che la quantità di disagio online è la stessa che offline, et io sono del tutto d’accordo, ma quello che cambia radicalmente è come viene espresso lo stesso, non la sua quantità.
Se nel bar aggredisci uno per avere detto qualcosa di diverso da quello che ti aspetti è probabile che ti prendi un destro ma online questo non accade, quindi si compiono azioni si hanno reazioni DIVERSE online rispetto all’offline.
Questo è un fenomeno noto che si chiama “effetto disinibizione” di cui ho parlato in questo post e in questo video e che in pratica significa che alcune persone fanno molto di più e in modo diverso online da quello che farebbero offline. Con quali risultati?
Ho raccolto molti commenti assurdi nella mia vita digitale, li ho catalogati e ogni tanto li pubblico con l’hashtag #CommentiBizzarri e quello di seguito è un esempio:
Ma, grazie ad uno spunto avuto da Andrea “Stailuan” Antoni su WhatsApp, il quale sostiene che Instagram sia il luogo più disagiato delle Rete, mi sono trovato a pensare se lo fosse davvero ma soprattutto, perché.
In realtà non sono d’accordo con Andrea: questa è la mia classifica personale di luoghi in cui impera il disagio e le motivazioni inerenti.
La classifica del disagio online
YouTube
È senza dubbio il luogo in cui ho avuto il maggior numero di commenti bizzarri, soprattutto se rapportato agli altri social come numero di followers. Le persone VEDONO i video ma di fatto non li GUARDANO. Percepiscono, molte volte, quello che vogliono percepire.
Se questo è un problema di tutti i social e anche della vita reale (si chiamano bias cognitivi e sono spiegati benissimo nel libro “Pensieri lenti e veloci” di Daniel Kahneman ) è altre sì vero che le reazioni sono imbarazzanti e spesso brutali.
Perché? A mio avviso perché vedere un video ti avvicina alla persona dall’altra parte molto più di leggere un testo e questa vicinanza relativa percepita ti fa sentire in diritto (se sei un dannato disagiato) di esprimerti come faresti con un tuo amico debosciato che non sopporti.
Instagram è l’impero del posticcio, del fasullo. Oltre al fatto che è oggettivamente popolato da BOT e che la metà delle cose che avvengono su Instagram sono o finte o generate da macchine, è anche il posto in cui vige l’imperativo di mostrarsi MOLTO meglio di come in realtà si è o addirittura mostrare una vita MOLTO più brillante di quanto non sia in realtà.
Avete presente quelle coppie che al ristorante si fanno il selfie insieme, sorridendo come se fosse un momento magico, e poi abbassano gli occhi seriosi e incazzati per pubblicare su Instagram la foto, senza più dirsi una parola e cercando gli hashtag giusti (come se servissero a qualcosa…)?
Ecco, tutte queste vite magnifiche in realtà sono vite normali, spesso mediocri, di ragazzini o adulti che hanno come unico e solo fine quello di mostrarsi migliori per aumentare la fan base, come se il numero di followers fosse l’unico e solo valore assoluto.
La popolarità, posticcia, basata su di una esistenza posticcia. Se non è disagio questo…
Facebook è la Grande Madre, il luogo in cui tutti stiamo (tranne i giovani) ed in cui tutti esprimiamo la nostra esistenza nei modi più disparati.
Facebook è, da un certo punto di vista, il social che maggiormente rispecchia la nostra vita e la nostra società, da un certo punto il più aderente. Come tale è disagiato ma non troppo.
Le persone si sfogano, si lamentano, si arrabbiano, urlano, si innamorano come accade nella vita reale, quella vita reale che ovviamente è fatta di furbi e poco svegli, di esperti (che parlano poco o solo con gli esperti) e presunti tali: individui soggetti a effetto Dunning_Kruger ovvero una distorsione cognitiva a causa della quale individui poco esperti in un campo tendono a sopravvalutare le proprie abilità auto valutandosi, a torto, esperti in quel campo. Come corollario di questa teoria, spesso gli incompetenti si dimostrano estremamente supponenti.
Discutere con certe persone è come giocare a scacchi con un piccione. Puoi essere anche il campione del mondo ma il piccione farà cadere tutti i pezzi, cagherà sulla scacchiera e poi se ne andrà camminando impettito come se avesse vinto lui. (anonimo)
Questo non è il posto del disaggio, a mio avviso, ma il posto dell’astio e del sarcasmo.
Violento, brutale, aggressivo, Twitter è un non luogo che è rimasto frequentato non da moltissimi (quanto gli altri social) ma spesso agguerriti.
È il luogo in cui “uno a molti” i VIP (dai politici fino ad arrivare agli sportivi) parlano “al popolo” e il popolo si sente in diritto non solo di rispondere ma di aggredire o, peggio ancora, di prendere in giro con veemenza.
Twitter ha un’età media di utenza piuttosto alta (39 anni circa, se non sbaglio), ha un tipo di interazione poco discorsiva a causa del limite di caratteri, non è trattato come una chat alla WhatsApp e non è trattato come un social alla Facebook.
Il suo pubblico è cinico, colto, raffinato, parassitario, brutale e spesso “negativo”. Twitter NON è un luogo come gli altri, evidentemente.
Social che non è un social, racchiude il suo fascino nella sua stessa forma “non sociale”. Le persone che su LinkedIn si divertono sono degli sfikati, per capirci, quel social non è lì per quello. Poi ognuno lo interpreta a suo modo, come ogni cosa, ma LinkedIn significa solo due cose: lavoro e professionalità.
Ovviamente, su lavoro e professionalità non c’è poi molto su cui scherzare quindi, pur essendo forse il più noioso dei social, è quello in cui si riesce ad interfacciarsi in maniera più… civile. Ma, in effetti, il fatto stesso di essere un luogo professionale, tira fuori tutta l’aggressività nascosta delle persone: TUTTI dobbiamo dimostrare di saperne di più e meglio degli altri quindi se la stessa cosa viene detta su FB o su LK i risultati di pubblico e i commenti saranno del tutto diversi se non opposti.
Conclusioni
Ora, non pretendo di avere fatto un’analisi accurata dal punto di vista antropologico, ne ho l’ambizione di finire nei libri universitari sul social media marketing per questo post, ma di certo è basato sulle mie esperienze le quali, credo, hanno un valore. Soggettivo certo, ma hanno un valore.
Aggiungo una penultima cosa: ai più attenti non sarà sfuggito il fatto che l’ordine dei social/disagio rispecchia anche un altro ordine, più concreto et oggettivo, ovvero l’età dei partecipanti ai social stessi.
YouTube è frequentatissimo dai giovanissimi e quindi i canoni comunicativi tra me e un giovanissimo sono diversi come diverse le reazioni che vengono generate. Al contempo non è un social “tradizionale” in cui postare di tutto ma un social particolare. Anche Instagram è la stessa famiglia: molto giovani, molto distanti “da noi” molto diversi, molto disagio, molta inesperienza.
Twitter ha una età media degli iscritti di 39 anni, FB molto simile e LK forse di più quindi è ovvio che il modo di approcciarsi alla vita e agli altri di un quarantenne e di un dodicenne sono diversi, così come i contenuti generati.
Ultimo, ma non ultimo, il fatto che questa è evidentemente una generalizzazione. Non penso che i social siano brutti o diversi rispetto alla vita, ma penso siano proiezioni della stessa, con annessi errori di parallasse.
PS: per dovere di chiarezza, la parola disagio significa senso di pena e di molestia provato per l’incapacità di adattarsi a un ambiente, a una situazione, anche per motivi morali, o più genericamente senso d’imbarazzo. Di fatto, chi è disagiato è anche quello di cui si dice “non sta mica bene…”.
Voglio terminare con un altro commento bizzarro che amo moltissimo perché questo pianeta offre anche cose straordinarie come la seguente.
Sono un docente, divulgatore, consulente e TEDx speaker: insegno a persone ed aziende a non avere paura del digitale e a viverlo come un’opportunità, sia personale che di business.
Ho scritto 3 libri su tecnologia e digital: Web 3.0, Digital Carisma e Condivide et Impera.
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