Oggi parliamo del concetto di “più spazio, meno postazioni”
I luoghi e gli ambienti di lavoro stanno cambiando profondamente. Dopo gli ultimi tre anni in cui sono successe cose straordinarie che ci porteremo dentro per molto tempo ancora, il lavoro ha preso quella piega “smart” che tutti oggi conosciamo.
Se avessimo chiesto nel 2019 chi faceva smart working che cosa ci saremmo sentiti rispondere?
Ecco, oggi tutti sanno di cosa si tratta, in molti lo fanno e in moltissimi lo vorrebbero fare ancora di più. Certo, non tutti lo amano, ma diciamo che una piccola rivoluzione in questo senso è accaduta e da allora le direzioni intraprese dalle aziende sono due.
1- Il ritorno al lavoro in presenza, per tutti.
Qualche tempo fa un amico mi ha mandato un messaggio privato che mi ha fatto riflettere. Diceva più o meno questo: “ho la netta sensazione che ci sia un forte push da parte delle aziende a riportare la gente in ufficio anche se non ne vedo il motivo. Ad esempio, il mio team è molto più produttivo e felice quando lavora da casa.
Poi, lavorare in ufficio costa di più tra elettricità e spese di manutenzione delle aree, spostarsi è un costo sia ambientale che economico, l’assenteismo aumenta. Ma perché?”
Personalmente penso che questo accada per un accanimento morboso nei confronti di un controllo fisico delle persone e del lavoro. Il concetto è che devi lavorare per tot ore e non per raggiungere tot risultati quindi, io che sono il capo, controllo che lavori tante ore.
2- Più spazio e meno postazioni.
Sento spesso i ragazzi di Randstad con cui abbiamo fatto moltissimi eventi e formazione in passato e stiamo organizzando cose bellissime anche per il futuro: l’ultima volta che ci siamo visti in call, in sottofondo c’era un sacco di rumore quindi ho chiesto cosa stesse accadendo nei loro bellissimi uffici, e loro mi hanno risposto “stiamo rifacendo tutto un piano, per adeguarlo allo smart working che è qua per rimanere. Creeremo un ambiente con più spazio e meno postazioni.”
Ecco, penso che in questi due esempi ci sia lo specchio di un mondo del lavoro che da un lato si sforza di tornare com’era e che dall’altro cerca di cambiare profondamente, partendo dagli spazi che non sono più di lavoro ma diventano d’incontro. Più spazio, meno postazioni.
Penso serva una profonda riflessione sulla questione. Il lavoro non deve essere visto come un pagamento a ora ma un pagamento a obiettivo. Per questo non serve un luogo, un tempo o un capo ma serve una nuova mentalità e un diverso modus operandi nel concepire il lavoro stesso.