Ci troviamo in questo particolare periodo di transizione tra tutela della privacy da un lato e comunicazione, anche inconsapevole, delle nostre informazioni dall’altro, il tutto per insegnare agli algoritmi per aiutarci un domani.
Fatta questa premessa, voi fareste ascoltare le vostre conversazioni private ad uno sconosciuto dall’altra parte del mondo?
Di seguito, prima del video, la sbobinatura di quello che dirò nel video stesso, in modo che possiate leggere i sottotitoli oppure, se preferite, seguire direttamente dal post quello che dico nel video. Ci saranno delle imprecisioni “linguistiche”, ma se qualcuno riesce a fare dei video di 5 minuti senza copione, errori e tagli… beh mi dica come si fa :)
Domanda non banale: fareste ascoltare le vostre conversazioni private ad uno sconosciuto chissà, dall’altra parte del mondo per esempio? Io penso di no.
Eppure questa è una cosa che secondo Bloomberg e il Sole 24 Ore proprio in questi giorni avviene praticamente tutti i giorni su migliaia e migliaia di non conversazioni ma di comandi. Di cosa stiamo parlando? Abilitando le funzioni aiuta lo sviluppo delle funzionalità all’interno di Amazon Echo, il dispositivo Amazon per la domotica eccetera, noi permettiamo ad Amazon di raccogliere dati e informazioni, questo è evidente.
Secondo Bloomberg però, queste informazioni sono le nostre stesse non chat, ma i nostri stessi comandi che diamo ad Alexa. Come funziona il sistema?
Quando noi diamo dei comandi appunto, questi vengono analizzati in cloud e ci vengono restituite le risposte, assolutamente, è normalissimo. Però a quanto pare, a quanto riferisce Bloomberg, molte di queste informazioni vanno ad Amazon e vengono ascoltate da persone, persone che lavorano anche 9 ore al giorno e ascoltano fino a mille clip audio ogni giorno.
Esistono delle chat interne in cui poter chiedere agli altri se hanno già sentito comandi di questo tipo, e a che cosa serve una funzionalità del genere? Serve a far si che i comandi che non vengono per esempio riconosciuti, vengano assimilati da una mente umana, elaborati, e vengono date delle risposte umane per insegnare nuovamente agli algoritmi.
Allora, da un certo punto di vista Amazon fa quadrato attorno a questa cosa e dice che, giustamente e peraltro è senza dubbio così, non ci sono riferimenti agli individui, ci sono solo riferimenti al dispositivo da cui vengono queste informazioni, ma non si può diciamo risalire a quello che la persona sta chiedendo, alle cose che si stanno dicendo in quel determinato momento. Ci sono anche casi sempre secondo Bloomberg in cui gli analisti all’ascolto hanno ascoltato delle conversazioni violente, delle supposte o presunte, dire supposte non sta bene, presunte violenze.
Quindi in questo caso è anche molto borderline come situazione, cioè bisogna avvisare la polizia e dire chi ha fatto qualcosa di brutto oppure non avvisare la polizia e rispettare la privacy dell’eventuale delinquente?
Vedete che siamo in un momento in cui le macchine non sono ancora in grado di fare tutto quello che noi vorremmo che loro facessero ma stanno già imparando a farlo. Per imparare noi gli dobbiamo insegnare. Allora da un lato abbiamo tutela della privacy in tutti i modi e cerchiamo di tenere per noi tutto quello che possiamo tenere per noi, ed è corretto. Dall’altra parte diamo informazioni anche in parte inconsapevolmente a queste grandi aziende per insegnare agli algoritmi poi ad aiutarci domani, ma in questo momento di passaggio non ci sono tante altre strade se ci pensate.
Solo che il pensiero che qualcuno ascolti le mie informazioni e le mie conversazioni quando sono in casa è una cosa che un pochino mi prende male, a voi no?
Rock & roll.
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Sono un docente, divulgatore, scrittore e TEDx speaker: insegno a persone ed aziende a non avere paura del digitale e a viverlo come un’opportunità, sia personale che di business.
Ho scritto 4 libri su tecnologia e digital: Web 3.0, Digital Carisma, Condivide et Impera e l’ultimo CREA contenuti efficaci.
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