Secondo il dossier “Google Data Collection”, firmato dal professor Douglas Schmidt, gli smartphone Android ci tracciano anche quando non li usiamo.
Dall’articolo sul Sole 24 ore si legge che “un telefono Android fermo e inattivo (con Chrome attivo in background) comunica le informazioni sulla posizione a Google 340 volte durante un periodo di 24 ore, con una media di 14 comunicazioni dati all’ora”.
La ricerca di Schmidt, a mio avviso decisamente aderente alla realtà, ha compiuto due azioni in una volta sola, ovvero ha aperto un vaso di Pandora (l’ennesimo) e ha scoperto l’acqua calda.
PANDORA
Ci opponiamo con forza all’inserimento dei documenti sui social, non vogliamo mettere il codice fiscale o la carta d’identità per l’iscrizione ma abbiamo un telefono che PER TUTTA LA NOSTRA VITA traccia ogni cosa che facciamo, con chi siamo, dove andiamo, cosa ci piace.
Crollano le percezioni di “controllo” su quello che condividiamo con terzi.
ACQUA CALDA
Android è di Google, ha 2 miliardi di “clienti” nel mondo e non si paga: se online non paghi qualcosa, allora il prodotto sei tu, diceva Anderson.
Si genera quello che viene definito “paradosso della privacy“: persone di ogni età hanno un rapporto ambiguo con la privacy. A parole la reclamano come un diritto imprescindibile. Durante una cena o un convegno aziendale, basta accennare a come le nostre informazioni vengano sfruttate online, ed ecco che amici e colleghi lanciano grida di allarme. Passando ai fatti, emerge una situazione ben diversa.
La gente non fa quasi nulla di concreto per difendere il diritto a farsi i fatti propri.
Se vuoi che NESSUNO abbia accesso ai tuoi dati devi dare per scontate 3 cose: niente più gratificazioni istantanee. Niente più servizi online “gratis”. Niente più personalizzazioni.
Siamo arrivati ad una sorta di bivio: da un lato dovremmo smettere di avere paura e diventare trasparenti senza annichilire la privacy e dall’altro dovremmo pretendere di SAPERE cosa comunica cosa, con chi e quando.
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Sono un docente, divulgatore, consulente e TEDx speaker: insegno a persone ed aziende a non avere paura del digitale e a viverlo come un’opportunità, sia personale che di business.
Ho scritto 3 libri su tecnologia e digital: Web 3.0, Digital Carisma e Condivide et Impera.
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