Mi è capitato ultimamente di parlare con bravissimi professionisti che hanno votato la loro vita al fatturato. Ho visto imprenditori addirittura associare la felicità personale alla riuscita della propria impresa, come se la vita iniziasse e terminasse con il lavoro.
Per cultura o educazione o predisposizione per alcuni individui ogni scelta, ogni frase detta, ogni pensiero verte ad aumentare il fatturato al punto da potersi permettere cose che io, oggettivamente, non mi posso permettere.
Senza dubbio figo, ma sono sempre più convinto che i soldi siano un mezzo e non un fine.
Con i soldi ci puoi comprare tutto, sono un veicolo di libertà da un certo punto di vista, ma rimangono un veicolo.
Personalmente vivo nella casa che vorrei, in centro come ho scelto, nella città che amo. Ho la macchina che vorrei avere, i vestiti che mi piacciono e gli oggetti che adoro (tipo 3 xbox, un pc da gaming è una ps5, per dire).
Ma sopratutto ho la qualità della vita più alta tra tutte le persone che conosco, giuro, e questo è dovuto alla gestione del tempo, non dai soldi.
Faccio un lavoro bellissimo, che mi permette di rimanere sveglio, sperimentare e di sentirmi vivo ma non solo, mi permette anche di decidere di andare a casa a giocare a Destiny di pomeriggio perché non ho voglia di stare in ufficio. Senza alcun senso di colpa verso soci o dipendenti.
Mi permette di avere i miei tempi, di avere lo spritz in mano dopo lavoro senza il pensiero di “avrei potuto/dovuto fare di più”.
Poi ci sono le urgenze, gli eventi e le attività particolari ma sono, appunto, particolari, non la norma.
Fare più soldi? Si, perché no. Ma dipende dal prezzo da pagare.
Il tempo e l’assenza di sensi di colpa, con un lavoro appagante e adeguati mezzi di sostentamento, sono la rappresentazione plastica di quello che definiamo qualità della vita.
I soldi ne sono un tassello, paritario agli altri.
Stimo il denaro né più né meno di quello che vale, perché è un servo eccellente ma un padrone terribile, diceva Dumas figlio.
Possiamo dargli torto?