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19 Luglio 2022

Sono responsabile di quello che scrivo, non di quello che capisci

di Rudy Bandiera

“Sono responsabile di quello che scrivo, non di quello che capisci”

Con questa frase la scorsa settimana ho scatenato un putiferio dividendo le persone in 3:

1- Quelli che “la frase non è tua ma di Troisi” solo che, me ne dolgo, non lo sapevo.
2- Quelli che “la responsabilità della comunicazione sta nel comunicatore, sempre”.
3- Quelli che “finalmente qualcuno lo dice visto che c’è gente che non capisce un c***o!”

Per rendere più chiara la frase, nella quale credo fermamente, permettetemi un esempio.
Ho riguardato su Netflix “Some kind of monster”, il documentario dei Metallica girato partendo dal lontano 2002.
L’ho riguardato per diversi motivi, oltre al fatto che amo i Metallica: trovo affascinanti i film in grado saper cogliere gli aspetti intimi e profondi delle persone, rapporti interpersonali in cui tutti ci possiamo specchiare.
Ci sono pesanti dinamiche identiche a quelle che si trovano in ogni posto di lavoro, con la differenza che nel loro caso le suddette dinamiche sono sottoposte all’enorme pressione del “Metallica Monster”, come loro stessi lo definiscono.

In carriera hanno vinto nove Grammy Award, sono tra i pochissimi artisti ad essersi esibiti in 48 Paesi e in tutti i continenti del mondo, Antartide compreso. Con più di 100 milioni di dischi venduti (di cui 60 in USA) sono una delle formazioni di maggior successo nella storia del rock.
Ecco, di pressioni ne hanno e nel documentario si vedono tutte.

Assumono uno psicologo di gruppo, per riuscire a capirsi meglio e a trovare una quadra tra l’assertività di alcuni, la belligeranza di altri e la mania del controllo dei due leader.
Litigano, sbattono le porte, urlano, fanno la pace come tutte le persone normali del mondo ma sottoposti a pressioni inimmaginabili per tutte le persone normali del mondo.

La prima volta che lo vidi fu su consiglio di un mio collega di fabbrica che disse, nei primi anni 2000, “oh, guarda il documentario dei Metallica perché è una figata!”
Ah sì, dissi io, e perché è una figata? Lui rispose “Sono imballati di soldi. Sono ricchi da fare schifo”.

Il documentario è ben fatto, equilibrato, intimo, ritmato e profondo.
Mostra rapporti interpersonali in cui tutti ci possiamo riconoscere e da cui possiamo imparare a gestire il nostro ego e mostra un gruppo di superstar internazionali nella vita di tutti i giorni ma lui, il mio collega, ci ha visto solo “Sono imballati di soldi. Sono ricchi da fare schifo”.

La frase “sono responsabile di quello che scrivo, non di quello che capisci” credo che adesso sia più chiara.

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