È la parola più menzionata dell’ultimo periodo; ogni giorno ci sono nuove aziende che inseriscono la parola “metaverso” nella loro comunicazione. Voglio fare una piccola riflessione su cosa implica il lavorare nel Metaverso.
Non ci sarebbero i confini
Un mondo virtuale senza confini nazionali potrebbe destabilizzare. Una situazione geograficamente nuova in un mondo immateriale.
Non solo non ci sarebbero più confini nazionali, ma non ci sarà più nemmeno un confine tra vita privata e lavoro, lavoreremo con caschi per la realtà virtuale o occhiali per realtà aumentata, braccialetti o manubri per il rilevamento del movimento, tutto direttamente da casa.
Il nostro avatar
Il nostro avatar sarà la nostra rappresentazione nel Metaverso. Lo dobbiamo creare a nostra somiglianza? Oppure nel Metaverso possiamo trovare una dimensione senza la necessità di esplicitare genere, condizione fisica o abbigliamento?
La privacy
Essere costantemente in un mondo virtuale significa anche essere circondati da algoritmi che controlleranno in modo specifico le nostre azioni, tutto sarà tracciato e registrato e sarà difficile (già lo è ora) mantenere una parte di privacy.
La salute e gli infortuni sul lavoro
Potrebbero sorgere nuove problematiche legate all’uso di un casco per immergersi nel Metaverso e a quanto sono adeguati gli spazi per poter svolgere le attività lavorative in modo sicuro: se mentre indosso il casco urto qualcosa nella mia casa, è un infortunio sul lavoro?
Per non parlare della propria salute mentale e delle nuove problematiche che il lavorare nel Metaverso può comportare.
Arthur C. Clarke diceva che “ogni tecnologia sufficientemente avanzata è indistinguibile dalla magia”. Ogni tecnologia evoluta è in parte indistinguibile dalla magia proprio perché non sappiamo tutto, e quindi, ignorando, assegniamo a determinate cose motivazioni e ruoli che in realtà non hanno e questo vale anche per il Metaverso.
Per rispondere alla domanda del titolo si, ci vorrei andare ma NON ci vorrei vivere.
